«This is my Kingdom» mi sussurra Fanis girandomi le spalle per guardare fuori dal suo piccolo caicco. Non è ancora l’alba e la luna piena sfiora il profilo ancora oscuro dell’isola di Sikinos. Siamo soli nel silenzio assoluto del centro dell arcipelago delle Cicladi. La lenza è stata minuziosamente posata nelle profondità di un mare perfettamente piatto. La bellezza del luogo nasconde fra il va e vieni di una brezza quasi impercettibile un muto mistero che da dei brividi di libertà. Aspettiamo l’alba per estrarre a mano le prede dall’acqua.
Fanis, non ancora quarantenne, è un pescatore solitario che sembra non seguire altro che il suo istinto. Proseguendo il lavoro di suo padre scomparso troppo presto, dalle profondità degli abissi risalgono ugualmente alla sua memoria i ricordi di un passato comune in cui i sui preziosi insegnamenti gli permettono ancora oggi un rapporto rispettoso nei confronti del mare.
Oggi Fanis stupisce per la semplicità dei suoi mezzi utilizzati per pescare, per i suoi movimenti all’interno della barca che fanno pensare ad una danza ancestrale che oscilla fra stabilità e instabilità. Il suo impegno verso una pesca equa, che fa sempre più fatica a coesistere con una pesca industriale, fa di lui un navigatore solitario alla ricerca di un equilibrio millenario, affinché la pesca possa continuare ad esistere come è sempre accaduto nella lunga storia dell’uomo.
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